La gestione di un dipendente positivo o sospetto positivo in azienda può rivelarsi problematica per molte aziende, tra incertezza della diagnosi, responsabilità del datore di lavoro e violazione della privacy. Ecco cosa prevede il protocollo di sicurezza vigente.
La gestione dei dipendenti positivi al virus SARS-CoV-2 può rivelarsi problematica, o quantomeno confusa, per moltissime aziende. Nonostante l’adozione del protocollo di sicurezza nei luoghi e negli ambienti di lavoro firmato lo scorso 14 Marzo e confermato dall’ultimo DPCM del 3 novembre 2020, è infatti possibile che un dipendente risulti affetto da Covid-19 o inizi a presentare sintomi ad esso associati. Cosa fare, quindi, in caso di positività, presunta o accertata, di un dipendente?
Le linee guida presenti nel protocollo firmato da Governo e sindacati (“Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, 14 marzo 2020) prevedono norme riguardanti l’informazione dei dipendenti, l’accesso alle aree di lavoro, le modalità di ingresso di fornitori e terzi, le norme igieniche vigenti in azienda e la gestione degli spazi comuni e degli spostamenti.
Lo stesso protocollo prevede che, qualora una persona presente in azienda sviluppi febbre o sintomi di infezione respiratoria (come la tosse), lo dovrà comunicare immediatamente all’ufficio del personale e si dovrà procedere al suo isolamento in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria e a quello dei dipendenti presenti negli stessi locali o entrati direttamente in contatto con il soggetto sospetto-Covid. Il dipendente dovrà poi procedere ad informare il proprio medico curante, che effettuerà le proprie valutazioni per provvedere, se necessario, a contattare le Autorità sanitarie competenti che prenderanno in carico il caso.
A tutela della privacy, è fatto divieto di rendere noto il nome del dipendente con sospetta o accertata diagnosi di Covid-19 (se non in casi espressamente autorizzati per legge) e tutte le misure di prevenzione dovranno essere prese nel rispetto della riservatezza del dipendente contagiato.
La quarantena viene considerata come un periodo di malattia, dal punto di vista del rapporto di lavoro, per il quale è però necessario un certificato medico. I medici di medicina generale hanno ricevuto tutte le indicazioni dall’INPS per sapere con precisione come comportarsi (prescrivendo di volta in volta quarantena, isolamento fiduciario, e via dicendo).
Infine, in aggiunta alle normali attività di igienizzazione e sanificazione dei locali prevista dal protocollo, nel caso di presenza di un lavoratore positivo va fatta una sanificazione straordinaria dei locali aziendali.
Alla ripresa delle attività, è opportuno che sia coinvolto il medico competente per procedere al reinserimento lavorativo dei soggetti con pregressa infezione da COVID 19. Per il reintegro progressivo di lavoratori dopo l’infezione, il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza, effettuerà la visita medica precedente alla ripresa del lavoro al fine di verificare l’idoneità del soggetto.
Il protocollo, tuttavia, non specifica se anche i colleghi entrati in contatto con un caso di presunta positività debbano essere sottoposti all’isolamento precauzionale di 10 giorni e debbano contattare il proprio medico di base. Inoltre, il protocollo non tiene conto del livello di attendibilità della diagnosi, che spesso viene effettuata via telefono; solitamente è infatti il medico curante a prescrivere e raccomandare il tampone per i pazienti sospetti-Covid.
Cosa fare, quindi, se il medico di base non dovesse prescrivere il tampone a un soggetto con sintomi? In questo caso, sta all’azienda valutare se richiedere l’effettuazione del tampone o meno al soggetto presunto positivo e ai dipendenti entrati in contatto con lui negli ultimi giorni, sostenendone i relativi costi. Inoltre, l’azienda deve prendere tutte le misure necessarie atte a prevenire la diffusione del contagio, prevedendo quindi l’eventuale quarantena precauzionale per i soggetti entrati in contatto con un caso si sospetto-Covid, almeno fino all’accertamento della sua condizione. Va infatti ricordato che il datore di lavoro, qualora non abbia adottato correttamente tutte le misure previste dal Protocollo di sicurezza previsto per l’emergenzae da eventuali protocolli regionali, è responsabile civilmente e penalmente, come espressamente chiarito nella circolare dell’INAIL emanata lo scorso 22 maggio.