Cos’è il Recovery Fund, come funziona, quali sono le condizioni e perché è così importante. Ecco tutto quello che c’è da sapere.
Dopo quattro giorni di trattative e oltre 90 ore di summit (il più lungo della storia UE), i Ventisette del Consiglio Europeo hanno finalmente trovato un accordo sul nuovo Recovery Fund, risultato del compromesso tra le posizioni altrimenti inconciliabili dei diversi Paesi. Si tratta di un’intesa “realmente storica”, come ha affermato il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel in una conferenza stampa del 21 luglio; con lo scoppio della pandemia da Coronavirus, che ha gravemente danneggiato l’economia dei principali Paesi europei, è emersa ancor più chiaramente la necessità di trovare soluzioni condivise per il recupero economico del blocco: da qui, la nascita e il difficile accordo finale sul Recovery Fund, strumento che dovrebbe sostenere l’economia del Vecchio Continente e fornire un aiuto concreto alla ripresa economica dei Paesi più colpiti dalla crisi del Coronavirus.
Come nasce il Recovery Fund
Letteralmente “fondo di recupero”, il Recovery Fund è stato lo strumento più volte richiesto dal Premier Conte per far fronte alla crisi originata dall’emergenza Coronavirus, che ha generato flessioni imponenti del PIL di tutte le principali economie europee.
Adottare una strategia condivisa per affrontare l’emergenza, però, si è rivelato tutt’altro che facile a causa delle forti opposizioni tra i Paesi del Nord, come Austria e Olanda, che si sono sempre espressi contro qualsiasi forma di condivisione del debito, e i Paesi del Sud più colpiti, come Italia e Spagna, che si sono mostrati più aperti in tal senso a causa dei pesanti riscontri economici dovuti allo scoppio dell’emergenza sanitaria.
Dopo la prima proposta di Francia e Germania sul fondo di recupero, basata esclusivamente su concessioni di denaro a fondo perduto, è arrivato il progetto di Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, al quale ha fatto seguito quello della Commissione Europea, che ha introdotto sia finanziamenti che contributi a fondo perduto. Insieme alla proposta di Charles Micheal, tutti i progetti sono stati discussi questo luglio dal Consiglio Europeo, che, dopo 90 ore di trattative, discussioni e scontri, ha finalmente trovato un accordo sul Recovery Fund.
Che cosa prevede il Fondo di Recupero
Il piano complessivo di recupero è composto di due parti: quello composto dal bilancio pluriennale Ue dal 2021 al 2027 e quello del Recovery fund proposto dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Secondo il progetto, il bilancio Ue dovrà avere nei sette anni un volume pari a 1074 miliardi di euro, da finanziare prevalentemente attraverso i contributi netti degli Stati membri dell’Unione.
Il piano per la ripresa economica dei Paesi Europei, invece, prevede un Fondo per la ripresa del valore di 750 miliardi di euro (250 miliardi in più rispetto alla proposta originaria di Merkel e Macron), suddiviso in:
- 390 miliardi di sussidi, che non dovranno essere ripagati dai Paesi destinatari (ammontare notevolmente diminuito rispetto agli originali 500 miliardi proposti da Francia e Germania a causa delle forti opposizioni esercitate dai Paesi Nordici);
- 360 miliardi di prestiti, da rimborsare a scadenza (somma in aumento rispetto agli originali 250 miliardi, per sopperire alle richieste dei Paesi più duramente colpiti dall’emergenza Coronavirus).
Il Fondo per la Ripresa distribuirà risorse tra il 2021 e il 2023, e rimarrà in vita fino al 2026.
Come viene finanziato il Recovery Fund
Si tratta di un accordo storico: per la prima volta, si crea in Europa una forma di condivisione del debito, con mandato alla Commissione europea di emettere titoli comuni sui mercati finanziari. Ciò significa che gli Stati membri non devono erogare soldi, ma solo esprimere una garanzia rispetto al fatto che, in caso di necessità, sostengano i titoli.
Il debito complessivo di 750 miliardi di euro dovrà essere ripagato dall’Ue entro la fine del 2058, ma si inizierà già all’interno dell’attuale esercizio di bilancio settennale, ossia prima del 2028. Come questo debba accadere dipenderà essenzialmente da come si finanzia l’Ue: maggiori contributi nazionali degli Stati membri, riduzione di rispettivi bilanci oppure attraverso nuove fonti di reddito.
Il tema dei rebates
Altro tema spinoso per i Paesi “frugali”, sul quale si è trovato un compromesso, sono i rebates, ossia i rimborsi introdotti per la prima volta su richiesta del Regno Unito ai tempi di Margaret Thatcher, che con la Brexit molti leader Ue avrebbero voluto cancellare.
Questi ultimi, in alcuni casi, sono stati anche raddoppiati:
- alla Danimarca andranno 322 milioni annui di rimborsi (rispetto ai 222 milioni della proposta di sabato);
- all’Olanda 1,921 miliardi (da 1,576 miliardi);
- all’Austria 565 milioni (da 287);
- alla Svezia 1,069 miliardi (da 823 milioni).
Quanto spetta all’Italia
All’Italia va la porzione più grande del piano di aiuti, 30 miliardi in più per un totale di 208,8 miliardi totali così ripartiti:
- 81,4 mld in sussidi a fondo perduto (leggermente meno rispetto al piano originario);
- 127,4 mld di prestiti a tassi molto bassi e a condizioni agevolate (36 miliardi in più di quanto stabilito in precedenza).
Condizioni per l’utilizzo delle risorse
Il Recovery Fund non mira solo a favorire il ritorno alla crescita economica dopo la crisi dovuta all’impatto della pandemia, ma anche quello di preparare i Paesi membri ad affrontare al meglio il futuro: una buona parte delle risorse, circa il 30%, sarà destinata per esempio alla difesa del clima, altre alla digitalizzazione. A questo scopo i singoli Paesi Ue devono presentare dei piani di riforma in cui espongono come verranno utilizzati gli aiuti, dovendosi però orientare alle raccomandazioni date dalla Commissione secondo le modalità previste dal semestre europeo.
Il ruolo di controllo degli Stati membri e il “super-freno”
L’idea originale che la Commissione europea controllasse da sola i piani di riforma e l’erogazione degli aiuti previsti dal fondo è stata duramente contestata dall’Olanda, tanto che all’inizio del vertice il premier Mark Rutte aveva preteso il diritto di veto per singolo Paese. Dopo un durissimo negoziato, si è giunti al compromesso finale, secondo cui gli Stati sono chiamati ad accettare i vari piani di riforma in base a maggioranza qualificata. Sarà il Comitato economico finanziario, con i tecnici dei ministeri delle Finanze, a valutare il rispetto dei percorsi e degli obiettivi fissati per l’attuazione dei piani nazionali.
Se poi un Paese avrà ancora dei rilievi, potrà sottoporre la questione al Consiglio UE “in via del tutto eccezionale”; secondo alcuni osservatori, ciò assomiglierebbe non poco ad un diritto di veto, anche se si ritiene estremamente improbabile la possibilità che qualcuno ve ne faccia ricorso.